Con lui se ne va un pezzo di Destra a Monterotondo, “quello più contrario all’egemonia comunista” – diceva di sé

Aveva cinquantanove anni da compiere il 21 ottobre. Consigliere comunale da tempo immemore era riuscito ad arrivare a conquistarsi uno scranno in Consiglio regionale. Roberto era la persona con la quale non potevi che fare amicizia a Monterotondo, ma anche litigare. Il suo livello febbrile di attività, la voglia di stare dentro a tante cose, tante iniziative, la mente che compulsava cento idee sul fare – sempre e solo sul fare – rendevano impossibile entrarci in urto, qualche volta. E così successe anche al cronista che lo ricorda.

Le sue res gestae sono perfettamente descritte da Elisabetta Aniballi. In questo spazio la memoria di una persona che aveva la frenesia addosso. Una volta durante una colazione di lavoro ad esplicita domanda ammise che aveva sempre urgenza perché sentiva di avere poco tempo. Era la sua vista che si abbassava sempre più e voleva dare una sicurezza alla famiglia prima che fosse per lui impossibile farlo. Non si capiva se si trattasse di una sua nevrosi o di una paura con dei presupposti. L’esito esiziale in età prematura però era qualcosa che nessuno si aspettava.

Roberto Buonasorte era una persona che aveva scelto la destra come impegno di vita. Aveva attività commerciali però la sua scelta esistenziale fu tutta lì. Era la persona capace di entrare in contatto con tutti. Aveva il senso della discussione, cercava di capire, anche furbescamente per intendere in anticipo le mosse dell’avversario. Studiava il suo interlocutore con atteggiamento scopertamente furbo, quindi appariva un improbabile detective del pensiero altrui.

Ci teneva tremendamente alle sue iniziative. Una volta che trattai con velo umoristico il resoconto di un’assemblea del suo partito di neo-formazione – La Destra di Storace – protestò in modo quasi violento. Si attaccò al telefono del mio editore, improvvisamente era furibondo col sottoscritto, improvvisamente non riconosceva al diritto di cronaca la libertà di dare l’impostazione ritenuta idonea ad un evento che, in fondo, non cambiava le cose della storia comune. In un chiarimento successivo ammise che lui credeva oltremodo in quel che faceva e riteneva inaccettabile lo snobismo degli altri. In compenso da allora ebbi tutti i giorni in posta elettronica Il Secolo d’Italia. L’ultima volta che lo incontrai mi disse, con la frettolosità che lo contraddistingueva sempre, – “Oh! Io ti mando Il Secolo! Ma lo leggi qualche volta?”Probabilmente il tentativo di mettere in piedi un nuovo partito chiamato, La Destra, con Francesco Storace leader indiscutibile, fu il suo grande progetto che lo caratterizzò fortemente. La necessità esistenziale di dare espressione a una formazione politica che nella storia del secondo dopoguerra aveva sempre vissuto come reclusa e con un senso di colpa originario da cancellare. “La destra – diceva Buonasorte – deve uscire, parlare con la gente, come fanno i comunisti” (con l’espressione sarcastica intendeva tutto ciò che sta a sinistra). “Le nostre idee stanno già nella testa della gente. Si tratta di avere il coraggio di affermarle, senza remore, senza complessi”.

Credo che gli ultimissimi anni siano stati l’affermazione di una prospettiva per cui ha sempre lavorato. E forse la consolazione per la sua esistenza spezzata prematuramente. Gli sia lieve la terra.