Il quadro è desolante. 27.500 errori giudiziari in 25 anni. Ogni anno mille innocenti finiscono in carcere. Sei milioni di cause pendenti. Il sistema giustizia è arrivato al capolinea. Bisogna scendere e trovare una nuova forma di convivenza tra poteri. Ed è questo il perno dell’argomentare di Luca Palamara nell’incontro tenutosi presso l’Ara Garibaldina di Mentana ieri, 20 maggio.
Il panorama è quello incantevole dell’Ara Garibaldina a Mentana. Mentre si discute delle questioni centrali del funzionamento della macchina statale, bambini giocano in giardino e tutto questo ha senso: queste discussioni sono probabilmente per loro, per il loro futuro.
Non sembra facile la soluzione né immediato il districarsi dei meccanismi che rendono pericolosamente unico il centro di potere in Italia per la commistione per interessi, metodi e finalità tra potere esecutivo e potere giudiziario. Quello legislativo appare una seccatura o, nel migliore dei casi uno strumento. Ma se tripartizione di Montesquieu va a farsi benedire non è a colpi di referendum che si potrà risolvere. Ma è proprio dal referendum che bisogna ripartire per ridare un protagonismo alla democrazia.
Lo stesso sentimento comune che aveva tributato grande speranza alla magistratura trenta anni fa la relega attualmente al livello della classe politica e dei giornalisti come poca credibilità. “Il ritorno a un futuro in cui si guardi con fiducia all’esercizio amministrativo della giustizia è possibile andando a scomporre proprio quei meccanismi che ne bloccano il corretto funzionamento” – dice Luca Palamara, ex eletto nel Consiglio Superiore della Magistratura, ex presidente Associazione Nazionale Magistrati, oggi espulso dalla magistratura per le ben note vicende di una trattativa tra potere politico e giudiziario sui possibili assetti delle gerarchie relative alle sedi di potere più ambite: la procura di Roma, prima fra tutte.
Il personaggio Palamara passa così dall’essere ingranaggio e soldato di un sistema a detonatore in grado di farlo saltare. La sua testimonianza è insostituibile in questa grande occasione di riforma. Tanto più in apparati così arroccati come quelli della magistratura inquirente.
Palamara parla della grande missione in cui si sentiva investito da giovanissimo, quando iniziò la sua carriera da PM proprio nell’età di Tangentopoli. Sogni svaniti come quelli degli italiani per una giustizia giusta proprio a causa dell’inseguimento di stilemi di acquisizione di potere impropri per chi nasce di per sé come classe di potere in quanto deputata al giudizio.
E allora la cura inizia proprio da questi referendum. Sulla separazione delle funzioni – inquirente o giudicante – con grande onestà intellettuale Palamara espone entrambe le ragioni. Oggi però non si può non guardare a singole professionalità come elemento di maggiore garanzia per il cittadino.
“Sorteggio per le nomine al Consiglio Superiore della Magistratura!” … “È l’unico modo per avere un CSM senza correnti”.
La questione delle valutazioni dei giudici appare una delle più delicate. I Consigli giudiziari siano composti anche da esperti giuristi: avvocati o docenti universitari. Non si può continuare nella grottesca farsa per cui i giudici sono gli unici che non possono essere giudicati se non da altri giudici.
E poi ci sono le storture inserite dalla Legge Severino per cui un giudice può decidere della fine politica di un imputato decretandone l’incandidabilità al primo grado di giudizio. Deve determinarsi almeno il terzo grado e per i reati più gravi, la procedura per cui un soggetto è escluso dalla possibilità di accedere al vaglio delle elezioni.
Sulle misure cautelari “la possibilità di reiterazione del reato” consiste in una ragione troppo labile per trattenere chiunque agli arresti, anche perché potrebbe essere applicata ad ogni imputato.
Sono i motivi per cui l’appuntamento del 12 giugno è da non mancare. Ma comunque vada sarà solo l’inizio di un percorso di grande riforma al quale Luca Palamara si accinge, molto probabilmente, volendosi impegnare in prima persona.
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