La prima novità di rilievo nello scacchiere della dialettica cittadina potrebbe dare luogo a una diversa ricomposizione del quadro politico che prima si riteneva irrecuperabile
La storia italiana è fatta di grandi dualismi: Coppi e Bartali, Gimondi e Adorni prima Gimondi e Mercks dopo. Nel calcio, Rivera e Mazzola, Rocco e Herrera. I dualismi hanno sempre funzionato. Funzionano tanto più in politica perché quando si trovano all’interno di uno stesso schieramento o di un partito consentono a chi rompe con il proprio leader di passare a quello della fazione opposta senza per questo perdere il riferimento politico originario. Nella storia italiana ha funzionato questo schema con Rauti e Almirante (Msi), Nenni e Lombardi (Psi), Andreotti o Fanfani o Aldo Moro in diverse epoche che si trovavano contro il resto della Democrazia cristiana… (I comunisti? No, no, seguendo il modello sovietico hanno sempre preferito il monolite: Togliatti, poi Longo e dopo ancora Berlinguer. L’ultima fase dialettica la ebbero nel dibattito tra Bordiga e Gramsci finito nel 1926).
Stesso schema del dualismo appare applicarsi a Guidonia.
Gli anni Ottanta e Novanta, ma anche il Duemila ha visto il contendersi della leadership nella destra dell’Msi-An da parte di Vittorio Messa e Adalberto Bertucci. La stessa riedizione, ma coi figli a prendere le redini dei padri, si ripresenta nel 2016 con Alessandro Messa e Marco Bertucci. Entrambi hanno abbondantemente superato il battesimo con la politica attiva. Finora si erano guardati a distanza. Nello stesso schieramento del centrodestra, ma da organizzazioni politiche diverse. Alessandro Messa ne La Destra e poi in Fratelli d’Italia, Marco Bertucci nel Partito delle Libertà e poi in Forza Italia. Ora Marco Bertucci entra in Fratelli d’Italia. Così facendo il movimento politico che vede Giorgia Meloni come principale esponente nazionale vede Messa e Bertucci in tandem rappresentarsi come partito cardine del centrodestra. Sì, perché davanti all’autoreferenzialità del Nuovo Centrodestra rappresentato dai singoli portatori di voti, ma senza capacità di captazione di consensi, davanti allo sfarinamento di Forza Italia sempre più nella condizione di ognun per sé dio con tutti, Fratelli d’Italia si pone come il partito più credibile della compagine del centrodestra. Almeno, un tempo così era chiamato. In sostanza l’elettorato che si sente alternativo al Pd e alla sinistra, ma che non vuole unirsi al Movimento Cinque Stelle, ha la possibilità di trovarsi nuovamente in una condizione di unitarietà se Fratelli d’Italia decide di mettere al tavolo i diversi interlocutori, rinunciando alla contestazione a al ruolo contestatario già perfettamente interpretato dai seguaci del movimento fondato da Beppe Grillo.
Ma tutto questo sarà possibile se Messa e Bertucci firmeranno una desistenza per cercare di unire le forze sparse attorno a loro. Tempo ce n’è. IL dualismo, al di là del facile richiamo dei cognomi, è inevitabile perché i due rappresentano una fetta elettorale cospicua e quasi pari l’una con l’altro. Dovranno decidere di non misurarsi all’ultimo voto e dedicarsi a un lavoro di rifondazione. (Anche se il termine non è adeguato per i precedenti lessicali a cui si è annesso nella nostra recente storia).
D’altra parte, invece, in una logica di smarcatura di ciascuno dalle precedenti appartenenze avere una lista giovane, fresca, non etichettabile, non iscrivibile a logiche di accaparramento di potere è la strada che ciascun rappresentante della precedente maggioranza cerca di solcare. Ha iniziato Antonio Tortora, un tempo fedele alleato di Marco Bertucci, a mettere in piedi una sua lista. La tendenza sicuramente troverà degli imitatori.
Marco Bertucci poteva decidere di realizzare una lista tutta sua: trans-partitica, trans-ideologica, trans-destra-sinistra (ricordiamo che Marco Bertucci come presidente del Consiglio comunale si astenne sui cosiddetti “matrimoni-gay” determinando uno strappo a destra). Se non ha scelto la via isolata del rifondatore è perché evidentemente vuole tessere nuove forme di aggregazione, nuovi modi di essere nella politica.
Le novità del dopo chiusura dell’esperienza Rubeis, quindi, se registrano uno sfarinamento delle forze politiche trainanti (di cui parleremo in seguito) d’altra parte rilevano l’inaspettato riallineamento. Ma il problema è sempre lo stesso: chi dà la linea. (Ai metodi per raggiungerla attraverso forme di democrazia interna non ci crede più nessuno).
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