di Angelo Nardi
Sembra impossibile non incontralo più al chiosco di Colle Fiorito. Umberto Rinaldi, in arte “Sellerone” – soprannome che non ha mai digerito bene ma che lo rendeva assolutamente inconfondibile a Guidonia – era una forza della natura. Temperamento, forza d’animo, polemismo verace e istintivo, che lo rendevano un politico di lungo corso pur apparendo sempre come un uomo da battaglia, mai domo, mai rassegnato all’inevitabile, erano le caratteristiche per lui identificanti.
Umberto ‘ era partito ‘ nelle fila del Pci, aveva condiviso la svolta per il Pds, onde poi trovarsi sfrattato nel suo partito di origine per avverse situazioni che nel conflitto politico lasciano ferite mortifere. Non per Umberto! IL suo carattere, il temperamento, che lo ponevano come un irriducibile del riformismo praticato e combattuto, non potevano vederlo estraneo dall’agone della politica in posizioni rinunciatarie e rancorose.
Umberto era l’uomo che, appena caduto, scivolato, pensava subito a rimettersi in piedi per continuare a combattere. Era l’espressione dell’ “operaio-massa” di gramsciana memoria. Ma con lui potevi trovarti a discutere anche sui destini del riformismo delle cose che assolutamente bisognava fare e fare in fretta. E aveva una combattività da far impallidire qualsiasi rivoluzionario. Sì perché ilriformismo in lui non nasceva come riduzione dal “ribellarsi è giusto”, non era un’ascesi desunta dalle ragioni della storia, era un valore derivato semplicemente dalle cose giuste da fare. Lo conobbi che eron nei panni di funzionario di partito in giacca e cravatta e subito fu contrasto. In quel tempo a Guidonia amministrava il Pds con il Partito Popolare ma i rappresentanti del partito che solo nel nome prendeva ispirazione da Don Sturzo si traducevano nei primi e più feroci oppositori del partito di Massimo D’Alema al governo della città. Mi accorsi subito di come lui doveva essere un ‘Popolare anomalo’: fustigatore del partito della quercia di Guidonia non ce ne faceva passare una nella conduzione della crisi. Alla fine di un lungo botta e risposta in cui forse aveva apprezzato che non intendevo minimamente cedere per diplomazia, mi dice: “ma che ti credi? io sto con Massimo D’Alema!”… Mi si aprì un mondo. Capii come Umberto era un volto tipico di questa città. Un uomo di grande intelletto mascherato in baldanza da spaccone. Una persona la cui grande energia evidenziata rischiava di far passare sotto traccia la sua “mente fina”. Un personaggio capace a ragionare di politica, che non vantava letture o titoli accademici ma “l’università della strada”. Una lezione, la sua, che incassai e imparai ad apprezzare. Tornato in auge durante l’amministrazione di Filippo Lippiello (2005-2008), fu assessore alle politiche sociali. La sua azione è ancora ricordata oggi come esempio di lungimiranza e collegialità nelle decisioni. Ma da tutti sarà ricordato, compagni di partito come avversari, in quanto irriducibile migliorista, nel senso della volontà da lui espressa di cambiare e modificare per il bene di tutti.
Credo fortemente che il Consiglio comunale debba porre in essere le modalità per dedicare a lui una via.
Gli sia lieve la terra.
Ancora nessun commento