Non c’è peggiore cattiva coscienza che quella nata come riparativa. Secondo alcune menti acute Guidonia dovrebbe rinunciare al suo tradizionale nome “Imperiale”, alla configurazione storica per cui nel precedente secolo anche il nostro paese ha guardato sé stesso in termini di grandeur. (Ci sono altri pezzi d’Europa che da questa malattia originaria non si sono mai più ripresi. Per noi il caso è diverso. Ma convivendo con la cattiva coscienza cerchiamo di mitigare con degli ossimori quelli che sono i tratti originali di quanto oggi ancora apprezziamo).
Imperiale, non va bene ad alcuni consiglieri di Guidonia. E allora – ma sì! – aggiungiamo un altro nome che annulli quel passato increscioso e imbarazzante.
“Come possiamo nuovamente battezzare il teatro di Guidonia? A un classico del teatro latino o greco?”
“No! E chi capirebbe?”
“A un contemporaneo?”
“Nemmeno … Ce ne sono a iosa”.
“E allora vada bene il nome e cognome che si scomoda sempre perché va sempre bene. Anche perché ha parlato di tutto e di più. Ma sì! Pier Paolo Pasolini! Ricorre anche il centesimo della sua nascita” …
“Sì! Pasolini va sempre bene. E poi chi avrebbe il coraggio di dire di no?”
Difficile dire come l’avrebbe presa la voce più denigrata e incensata della letteratura italiana del Novecento. Credo che ne avrebbe riso. E avrebbe ripreso – senza citarla, come faceva spesso – un’intuizione di Sigmund Freud presente nel suo saggio-capolavoro Totem e Tabù. La comunità che sacrifica il padre despota vive il senso di colpa di cui necessita sublimazione e lo fa attraverso l’erezione (sì, proprio così) di un totem. Allo stesso modo la società di Guidonia si autoaccuserebbe di aver messo al sacrificio il poeta incompreso e si riscatterebbe titolandogli il suo teatro più prestigioso. (Non dobbiamo dimenticare che a Montecelio ci sono esperienze teatrali altrettanto importanti, gustose, messe in piedi da compagnie di giovani).
La personalità nevrotica, inquieta, impulsiva di Pasolini, ma in contempo fortemente vitale, credo che difficilmente avrebbe pensato a riconoscimenti post-mortem, tanto era forte e sentita la necessità che le sue parole fossero riconosciute in vita. Ma le parole! Le idee forza! Quello che avrebbe coniugato con l’idea delle “belle bandiere”. Non la sua presenza fisica né la memoria, troppo occupata dalla menzione dei veri classici.
Ma nel novero delle celebrazioni di questo inutile centenario della nascita, la titolazione del teatro ci sta benissimo. Un modo per parlarne e dimostrare che il poeta fa ancora discutere ed ha ancora una pervasività divisiva. Ma la costatazione infelice avverrà quando domani ce ne dimenticheremo, tranne che per citare qualche sua riflessione tanto per fare una cosa chic.
Così va il mondo. Ed è la conclusione che Pasolini non avrebbe mai condiviso.
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